Buon pomeriggio lettori!
Oggi, come ogni domenica, super chicca tutta per voi.
Chi non conosce Travis Maddox e tutti i suoi fratelli? Bhè... penso nessuno. Ebbene si, se ve lo state chiedendo tra poco in libreria ci sarà il secondo volume della serie "Maddox bros" con Thomas, uno dei tanti fratelli :)
Come sempre AnniDiNuvole vuole condividere con voi le prime pagine del libro, tradotte in super anteprima per voi!
Buona lettura.
La serie è composta da:
1- Uno splendido sbaglio
2- Un indimenticabile disastro (5 novembre in Italia)
3- Beautiful sacrifice
Trama: La cosa più importante per Thomas Maddox è proteggere i suoi fratelli. Travis, con le sue bravate e la sua aria da duro, è quello che gli dà più filo da torcere. Anche ora che nella sua vita è arrivata Abby, l’unica che riesce a tenergli testa e a far breccia nel suo cuore di guerriero.
Il cuore di Thomas, invece, non ha più spazio per i sentimenti. Sembra che per lui, cinico e sfuggente, non valga il detto «quando un Maddox si innamora è per sempre». Ma per la sua famiglia è pronto a fare di tutto.
Dopo l’ennesimo errore, Travis si trova in una situazione più grande di lui. Thomas sa che per toglierlo dai guai c’è una sola persona che può aiutarlo: Liis. Liis che vorrebbe avere tutto sotto controllo, ma in amore non ci sono regole. L’imprevisto è la vera magia. Dal loro primo incontro la ragazza ha capito che non si può sfuggire a quegli occhi. Eppure, costretta a lavorare al fianco di Thomas ogni giorno, per salvare Travis e permettergli di vivere la sua splendida storia con Abby, Liis è messa a dura prova. Perché vederlo lottare per suo fratello le mostra un lato di Thomas che non credeva esistesse. Perché la felicità che prova quando è insieme a lui fa paura. Liis sente che tutti suoi tentativi di resistere all’amore stanno per vacillare. Ma il prezzo da pagare forse è troppo alto e la possibilità di soffrire ancora molto, molto vicina.
Cap. 1
Il controllo era l’unica
cosa reale. Fin da quando ero piccola avevo imparato che pianificare, calcolare
ed osservare potevano evitare molte cose spiacevoli, rischi non necessari,
delusioni e, più importante, struggimenti.
Pianificare per evitare
spiacevolezze, non era tuttavia sempre facile, un fatto che diventò palesemente
evidente nella luce soffusa del Cutter’s Pub.
La insegne al neon appese
alle pareti, circa una dozzina, e la debole fila di lampadine al soffitto, che
mettevano in risalto le bottiglie di liquore dietro il bar, erano solo
lievemente confortanti. Tutto il resto rendeva semplicemente evidente quanto
lontana fossi da casa.
Il fienile di legno
riutilizzato costituiva i muri e il pino bianco imbrattato di macchie nere era
stato pensato specificatamente per rendere quello spazio di Midtown
assomigliante a un bar buco-nel-muro, ma era troppo pulito. Cento anni di fumo
non avevano impregnato la pittura. I muri non sussurravano Capone o Dillinger.
Ero seduta sullo stesso
sgabello da due ore, da quando avevo finito di spacchettare le scatole nel mio
nuovo appartamento. Per quanto avessi potuto sopportare, avevo messo via gli
oggetti che mi ricordavano chi ero. Esplorare il nuovo vicinato era molto più
allettante, specialmente in quell’aria serale, straordinariamente mite
nonostante fosse l’ultimo giorno di Febbraio. Stavo sperimentando la mia nuova
indipendenza con, in aggiunta, la libertà di non avere nessuno a casa che si
aspettasse un resoconto su dove fossi stata.
Il cuscino dello sgabello
che stavo riscaldando era coperto di finta pelle arancione e, dopo aver bevuto
una buona percentuale dell’incentivo di trasferimento che l’FBI aveva così
generosamente depositato sul mio conto quel pomeriggio, me la stavo cavando
abbastanza bene ad evitare di cadere giù.
L’ultimo dei miei cinque
Manhattan della serata scivolò dall’interno dell’elegante bicchiere nella mia
bocca, sfrigolando giù per la mia gola. Il bourbon e il dolce vermouth sapevano
di solitudine. Quello almeno mi faceva sentire a casa. Casa, però, era a migliaia di chilometri di distanza, e sembrava
sempre più lontana quanto più stavo seduta su uno dei dodici sgabelli allineati
lungo il bancone ricurvo.
Non mi ero smarrita,
comunque. Ero una fuggitiva. Pile di scatole sedevano nel mio nuovo
appartamento al quinto piano, scatole che avevo imballato con entusiasmo mentre
il mio ex fidanzato, Jackson, se ne stava in piedi imbronciato in un angolo nel
nostro piccolo appartamento di Chicago.
Andare avanti era la chiave
per scalare i ranghi dell’FBI, ed in poco tempo io ero diventata molto brava a
farlo. Jackson era rimasto imperturbato la prima volta che gli avevo detto che
mi avrebbero trasferita a San Diego. Persino all’aeroporto, poco prima che
partissi, aveva promesso che avremmo ancora potuto farla funzionare. Jackson
non era per niente bravo a lasciar andare. Aveva minacciato di amarmi per
sempre.
Dondolai il bicchiere del
cocktail di fronte a me con un sorriso di aspettativa. Il barista mi aiutò a
posarlo rumorosamente sul legno, poi me ne versò un altro. La buccia d’arancia
e la ciliegia ballavano lentamente tra la superficie e il fondo, come me.
“Questo è l’ultimo,
tesoro,” disse, pulendo il bancone a entrambi i miei lati.
“Smettila di impegnarti tanto.
Non lascio grandi mance.”
“I federali non lo fanno
mai,” disse senza giudicare.
“È così ovvio?” dissi.
“Molti di voi vivono qui
attorno. Parlate tutti nello stesso modo, e tutti vi ubriacate, la prima sera
via da casa. Non ti preoccupare. Non gridi FBI.”
“Grazie a Dio,” dissi,
alzando il mio bicchiere. Non lo pensavo davvero. Amavo l’FBI e tutto ciò che
lo riguardava. Avevo amato persino Jackson, che era anche lui un agente.
“Da dove ti sei
trasferita?” mi chiese. La sua maglietta nera col collo a V troppo stretta, le
sue cuticole con manicure e il ciuffo fissato perfettamente tradirono il suo
sorriso civettuolo.
“Chicago,” dissi.
Le sue labbra si ritirarono
e piegarono finché, in qualche modo, sembrò un pesce, e i suoi occhi si
spalancarono. “Dovresti festeggiare.”
“Immagino che non dovrei
essere triste, a meno che non finiscano i posti in cui poter scappare.” Bevvi
un sorso e leccai il bruciore del bourbon via dalle mie labbra.
“Oh. Te ne sei andata dal
tuo ex?”
“Nel mio lavoro non te ne
vai mai davvero.”
“Oh, cacchio. Anche lui è
un federale? Non cagare dove dormi, tesoro.”
Tracciai l’orlo del
bicchiere. “Per quello non ti addestrano.”
“Lo so. Succede spesso.
Capita sempre,” disse, scuotendo la testa mentre lavava qualcosa in un
lavandino pieno di schiuma dietro il bancone.
“Vivi qui vicino?”
Lo adocchiai, sospettosa
verso chiunque potesse riconoscere un agente e fare troppe domande.
“Frequenterai questo
posto?” domandò chiarimenti.
Riconoscendo dove andava a
parare con il suo terzo grado, annuii. “Probabilmente.”
“Non preoccuparti della
mancia. Trasferirsi è costoso, e anche bersi quello che ci si è lasciati alle
spalle. Ti farai perdonare in futuro.”
Le sue parole fecero
curvare le mie labbra in su, in un modo in cui non avevano fatto in mesi, anche
se probabilmente ero l’unica ad accorgermene.
“Come ti chiami?” domandai.
“Anthony.”
“Qualcuno ti chiama Tony?”
“Non se vogliono venire a
bere qui.”
“Annotato.”
Anthony si tese verso
l’unico altro avventore del bar in quella tarda notte di lunedì, che potremmo
anche definire martedì di primo mattino. La donna tracagnotta di mezza età, con
gonfi occhi rossi, indossava un vestito nero. Mentre lui faceva ciò, la porta
si aprì e un uomo che aveva circa la mia età entrò, sedendosi due sgabelli più
in là. Si allentò la cravatta e slacciò il primo bottone della sua camicia
White Oxford perfettamente stirata. Guardò nella mia direzione; in quel mezzo
secondo, i suoi occhi verde nocciola registrato tutto quello che voleva sapere
di me. Poi si voltò.
Il mio cellulare vibrò
nella tasca del mio blazer, e io lo tirai fuori per controllare lo schermo. Era
un altro messaggio di Jackson. A lato del nome, un piccolo sei se ne stava
stretto in una parentesi, segnando il numero di messaggi che aveva inviato. Il
numero intrappolato mi ricordò dell’ultima volta che mi aveva toccata, durante
l’abbraccio avevo dovuto convincerlo a lasciarmi andare.
Ero a duemila
centocinquanta miglia da Jackson, ed era comunque in grado di farmi sentire
colpevole, anche se non abbastanza colpevole.
Cliccai il pulsante al alto
del mio telefono, oscurando lo schermo senza risponde al messaggio di Jackson.
Poi alzai il dito in direzione del barista, mentre deglutivo ciò che rimaneva
del mio sesto bicchiere.
Avevo trovato il Cutter’s
Pub proprio dietro l’angolo del mio nuovo condominio a Midtown, un area di San
Diego annidata tra l’aeroporto internazionale e lo zoo. I miei colleghi di
Chicago stavano indossando le loro giacche a vento standard dell’FBI sopra i
loro giubbotti antiproiettile mentre io mi godevo il clima di San Diego, più
caldo del solito, in top, blazer e skinny jeans. Mi sentivo un po’ troppo
vestita e un po’ sudata. Sicuramente poteva essere dovuto al livello di liquore
in circolo nel mio sistema.
“Sei terribilmente piccola
per un posto come questo,” disse l’uomo dei due sgabelli più in là.
“Un posto come?” disse
Anthony, alzando un sopracciglio mentre praticamente serrava un pugno attorno a
un bicchiere.
L’uomo lo ignorò.
“Non sono piccola,” dissi
prima di bere un sorso. “Sono minuta.”
“Non sono la stessa cosa?”
“Ho anche un Taser nella
mia borsa e un cattivo gancio sinistro, quindi non fare il passo più lungo
della gamba.”
“Hai un buon kung fu.”
Non gli diedi la
soddisfazione di prestargli attenzione. Al contrario, fissai davanti a me.
“Quello era un commento razzista?”
“Assolutamente no. Mi
sembri solo un po’ violenta.”
“Non sono violenta,” dissi, anche se era
preferibile sembrare un bersaglio facile ed insulso.
“Ma davvero?” non stava
chiedendo. Stava facendo l’ostile. “Di recente ho letto qualcosa su delle donne
asiatiche, leader della pace, che venivano onorate. Immagino non fossi tra
loro.”
“Sono anche Irlandese,”
borbottai.
Fece una risatina. C’era
qualcosa nella sua voce, non era solo ego, quanto più sicurezza. Qualcosa mi
fece venir voglia di voltarmi e guardarlo per bene, ma mantenni gli occhi sulla
fila di bottiglie di liquori dall’altra parte del bancone.
Dopo che l’uomo ebbe
realizzato che non avrebbe ricevuto una risposta migliore, si mosse sullo
sgabello vuoto al mio fianco. Sospirai.
“Cosa bevi?” chiese.
Ruotai i miei occhi e poi mi
decisi a guardare nella sua direzione. Era bellissimo, come il tempo della
California del sud, e non poteva assomigliare a Jackson meno di così. Persino
da seduto, si capiva che era alto, almeno un metro e novanta. I suoi occhi
color pera risplendevano in contrasto con la sua abbronzatura da spiaggia.
Anche se per l’uomo medio avrebbe potuto essere intimidatorio, non mi sembrò
che fosse pericoloso, non nei miei confronti almeno, sebbene fosse due volte
me.
“Qualsiasi cosa stia
comprando,” dissi, non provando a nascondere il mio miglior sorriso da flirt.
Abbassare la guardia per un
bellissimo straniero per un’ora era giustificabile, soprattutto dopo il sesto
bicchiere. Avremmo flirtato, avrei dimenticato gli ultimi residui di senso di
colpa, e sarei andata a casa. Possibilmente avrei anche ottenuto un drink
gratis. Era un piano rispettabile.
Fece un largo sorriso in
ritorno. “Anthony,” disse, alzando un dito.
“Il solito?” chiese Anthony
dalla fine del bancone.
L’uomo annuì. Era un
cliente abituale. Doveva vivere, o lavorare, nelle vicinanze.
Aggrottai la fronte quando
Anthony prese il mio bicchiere invece di riempirlo.
Alzò le spalle, nessuna
scusa nei suoi occhi. “Ti avevo detto che era l’ultimo.”
Con mezza dozzina di sorsi
lo straniero si scolò abbastanza birra scadente da essere almeno vicino al mio
livello di ubriacatezza. Ne ero contenta. Non avrei più dovuto fingere di
essere sobria e la sua scelta in fatto di drink mi diceva che non era esigente
e non stava cercando di impressionarmi. O forse era solo al verde.
“Hai detto che non potevo
offrirti da bere perché Anthony ti ha messo un freno o perché davvero non me lo
lasceresti fare?” chiese.
“Perché posso comprarmi da
bere da sola,” dissi, sebbene un po’ confusa.
“Vivi qui vicino?” domandò.
Sbirciai nella sua
direzione. “Le tue sottosviluppate capacità conversative mi deludono di secondo
in secondo.”
Rise ad alta voce,
lanciando la testa all’indietro. “Cristo, donna. Da dove vieni? Non da qui.”
“Chicago. Appena piombata
qui. Gli scatoloni sono ancora impilati nel mio salotto.”
“Posso capire,” disse,
annuendo comprensivo mentre alzava la sua bevanda in segno di rispetto. “Ho
cambiato due stati nel giro di tre anni.”
“Verso dove?”
“Qui. Poi, Washington. Poi
di nuovo qui.”
“Sei un politico o un
lobbista?” chiesi con un sorrisetto.
“Nessuno dei due,” disse,
la sua espressione si trasformò in disgusto. Bevve un sorso della sua birra.
“Come ti chiami?” domandò.
“Non interessata.”
“È un nome terribile.”
Feci una smorfia.
Lui continuò: “Questo
spiega il trasloco. Stai scappando da un uomo.”
Gli lanciai
un’occhiataccia. Era bellissimo, ma era anche presuntuoso, sebbene avesse
ragione.
“E non ne sto cercando un
altro. Non una storia da una notte, non una trombata per vendetta, nulla.
Quindi non sprecare il tuo tempo e i tuoi soldi. Sono sicura che puoi trovare
una ragazza carina della West Coast che sarebbe più che felice di accettare un
drink offerto da te.”
“E dove starebbe il
divertimento?” disse, avvicinandosi.
Mio Dio, sarebbe stato eccitante persino se fossi stata sobria.
Guardai in basso, al modo
in cui le sue labbra toccavano il bordo della bottiglia di birra e sentii una
fitta in mezzo alle cosce. Mentivo, e lui lo sapeva.
“Ti ho fatto incazzare?”
chiese con il sorriso più affascinante che avessi mai visto.
Fresco di rasatura, con
giusto un paio di centimetri di capelli castano chiari, quell’uomo e il suo
sorriso avevano vinto sfide molto più scoraggianti di me.
“Stai cercando di farmi
incazzare?” domandai.
“Forse. Il modo in cui
stringi la bocca quando ti arrabbi è… fottutamente fantastico. Potrei
comportarmi da stronzo con te per tutta la notte anche solo per poter fissare
le tue labbra.”
Deglutii.
Il mio giochetto era
finito. Aveva vinto, e lo sapeva.
“Vuoi andartene di qui?”
chiese.
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